"Forse"

"Forse" è la parola chiave, la parola magica che dona libertà di pensiero e di espressione. "Forse" è la parola madre di tutte le ipotesi, lo scopo di questo Blog è quello di non dare nulla per scontato per creare nuovi punti di vista ed essere promotore di nuove visioni di quel che generalmente consideriamo "realtà". Non dimenticate di partecipare ai sondaggi siamo interessati alle vostre opinioni. In Fondo alla Pagina inoltre potete Godere della TUTTI I FORSE TV la web TV d'intrattenimento e d'approfondimento dei temi trattati senza comunque mai trascurare gli argomenti più scientifici sostenuti da dati empirici, quindi sedetevi e Libero sfogo alla propria immaginazione ed al proprio intelletto!







sabato 19 febbraio 2011

La Sensitiva Laboragine torna a parlare, questa volta sulle gemelline scomparse

"Vedo le bambine viaggiare con il padre. Poi il buio che le avvolge" è questo il triste presagio di Rosemary Laboragine, veggente di origine barese.  Le gemelline Alessia e Livia, scomparse dopo che il padre si è suicidato sotto un treno a Cerignola. Per Rosemary le sorelline svizzere sono morte.  "Il padre ha premeditato il suo suicidio, ma della sorte delle bambine ha deciso solo all'ultimo momento. La molla che ha fatto scattare tutto è stata la moglie. Soprattutto il fatto che lei potesse avere un altro uomo accanto lo logorava".
 "Potrebbe averle addormentate e gettate in un dirupo. Lui era innamorato e sperava che la madre delle sue figlie tornasse con lui. Quando ha capito invece che era davvero finita è andato fuori di testa. Per questo non le ha riportate a scuola ed è fuggito in Italia. Ha viaggiato per tante ore fino a quando ha deciso di fermarsi in Puglia. Dove ha ucciso le figlie e poi ha deciso di punirsi. Scegliendo una morte violenta. Ma non ha utilizzato  una pistola o un’arma da taglio. Non vedo sangue. Anzi. Per me le ha spinte in un dirupo della Puglia vicino al luogo in cui si è suicidato. I settemila euro ritirati dal bancomat sono solo un depistaggio, non hanno a che fare con le bambine". E sulle ricerche: "Vedo un poliziotto, il suo nome è Giuseppe. Lui può dare un buon contributo a queste ricerche. Le ricerche si concluderanno a breve".

Altro su Laboragine leggi qui: http://tuttiforse.blogspot.com/2010/12/laboragine-la-sensitiva-che-scagiona-la.html

lunedì 14 febbraio 2011

Cani e Gatti rilassano più di Mariti o Mogli

 

Potenza della pet therapy.  Gli effetti positivi per l’organismo, dal punto di vista fisico e da quello psichico, degli animali domestici sono ormai appurati dalla scienza.  

Una ricerca condotta da studiosi dell’università di New York (Usa) ha dimostrato come l'affetto degli animali domestici sia ben più rilassante di una storia d'amore. Sì, perché secondo l’indagine statunitense gli animali aiuterebbero a sciogliere lo stress e le tensioni quotidiane molto meglio di un compagno umano.

Nel corso dello studio realizzato dagli scienziati americani, sono state esaminate le reazioni di 240 coppie che erano state sottoposte a diverse fonti di stress: sia di tipo psicologico (provocato dunque dalla necessità di risolvere problemi matematici abbastanza complicati) sia di carattere fisico (come quello causato dal fatto di tenere la mano immersa per 2 minuti nell'acqua ghiacciata). Ebbene, misurando il battito cardiaco e la pressione arteriosa di ciascuno dei partecipanti all'indagine, gli studiosi hanno osservato che la vicinanza di un animale da compagnia consentiva di controllare la tensione e l'ansia della situazione decisamente meglio rispetto alla presenza del compagno o del coniuge. Non solo: accanto al partner, e senza un cane o un gatto vicino a sé, era anche più facile commettere errori aritmetici.
La conclusione, quindi, suona come musica per le orecchie dei tantissimi amanti degli animali domestici: lo sguardo devoto di un cane e le fusa di un gatto - ma anche la semplice compagnia che può venire dal canto di un canarino o dal muoversi continuo di un pesce rosso - possono essere di gran lunga più di conforto, relax e benessere rispetto allo spirito troppe volte critico, magari anche senza motivo, di tante mogli e tanti mariti.

giovedì 10 febbraio 2011

Il pessimismo è innato, scritto nel DNA (ma si sapeva già nel 2009)

Oggi tutti i media ne parlano la Scoperta è spacciata per Nuova
Alcuni ricercatori dell’Università del Michigan hanno scovato la cosiddetta “molecola del pessimismo” dalla cui quantità dipenderebbe la nostra visione della vita: rosea se di questa molecola ne abbiamo a sufficienza, grigio-nera se, invece, ne produciamo di meno. Si tratta del neuropeptide Y (NPY in gergo chimico): chi ne ha un livello basso è in pratica “condannato”  ad affrontare con fatica situazioni stressanti ed è più soggetto alla depressione. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno sottoposto un gruppo di persone ad una risonanza magnetica funzionale, l'attività cerebrale è stata valutata mentre i volontari visualizzavano su uno schermo delle parole neutre (ad esempio 'materiale'), parole cariche di significati negativi (ad esempio 'assassino') e parole positive (ad esempio 'speranza').  Ebbene quando venivano mostrate le parole negativi le persone con con bassi livelli di NPY mostravano una forte attività della corteccia prefrontale, regione coinvolta con il processamento delle emozioni. Mentre i soggetti con un livello maggiore di NPY avevano un'attività minore della stessa area.
Nella seconda fase dell’ esperimento ai soggetti è stato chiesto di riferire riguardo le loro esperienze emotive nell'affrontare un evento stressante. I ricercatori hanno iniettato nel muscolo della mandibola una dose di soluzione salina in modo da produrre un dolore moderato per 20 minuti senza provocare un danno durevole. I livelli di dolore percepiti e riferiti da ogni volontario sono stati misurati su una scala da 1 a 10. I ricercatori hanno valutato la positività e la negatività dei soggetti prima e dopo avergli provocato il dolore. Anche stavolta è risultato che le persone con un basso livello di NYP erano più coinvolti negativamente  sia nella previsione che dopo il test, quindi emotivamente più fragili. Potrebbe essere questa la chiave per capire chi è maggiormente predisposto alla depressione? In effetti, Brian Mickey, uno dei ricercatori, dice che “queste reazioni genetiche sono misurabili in ogni persona e ci possono guidare verso la valutazione del rischio personale allo sviluppo di ansia e depressione”.  (Per dovere di cronaca ci preme dire che la paternità dello studio va agli inglesi più che agli americani difatti il 27 Febbraio 2009 è uscito l’articolo che vi riporto:  
27 FEB -2009  Se si vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto dipende dai nostri geni. In particolare, da uno che influenza il nostro modo di vedere le cose. A identificarlo è stato un gruppo di ricercatori della University of Essex (Gb) in uno studio pubblicato sulla rivista “Proceedings of the Royal Society B”. Il gene in questione è coinvolto nel trasporto di sostanze chimiche come la serotonina, che influenzerebbero la visione ottimistica o pessimistica del mondo. Le persone che hanno una versione lunga del gene tendono ad avere una visione positiva trascurando gli elementi negativi della vita. Le persone, invece, che hanno la versione corta del gene sono decisamente più pessimisti.
Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno coinvolto nello studio 97 volontari a cui sono state mostrate 20 immagini belle, 20 immagini brutte e 40 neutre. I ricercatori hanno quindi misurato il livello di attenzione che ciascun volontario ha mostrato guardando un'immagine. Ebbene, le persone che hanno la versione più lunga del gene hanno soffermato la loro attenzione maggiormente sulle immagini belle, come la foto di alcune caramelle. Mentre, i volontari che hanno una versione del gene corta hanno focalizzato la loro attenzione maggiormente sulle immagini brutte, come quella raffigurante dei ragni. I ricercatori hanno quindi concluso che dedicare la propria attenzione selettivamente può influire sul modo di reagire allo stress.
“Coloro che avevano una versione lunga del gene trasportatore della serotonina tendevano a guardare il lato positivo della vita”, ha spiegato Elaine Fox, “e a evitare selettivamente il materiale negativo”. Grazie a queste conclusioni i ricercatori sperano di poter sviluppare nuove terapie efficaci contro l'ansia e la depressione.
Quello di rubare le idee altrui sembra un vizio che gli Americani non perdono, un po’ come accadde  con il nostro Marconi, non mi stupirei se oggi Elaine Fox si sentisse un po’ pessimista.)



 

lunedì 7 febbraio 2011

Il Femore artificiale che cresce insieme al bambino

La protesi crescerà insieme a lui
Permetterà la crescita dell'arto colpito da tumore osseo senza differenza di lunghezza rispetto a quello sano
Una protesi in titanio realizzata su misura e dotata di un dispositivo elettronico miniaturizzato è stata impiantata con successo in un bambino di 11 anni malato di una forma di tumore delle ossa, l'osteosarcoma. La protesi intelligente "cresce" con l'aumento di statura fisiologico del ragazzino, mantenendo così le due gambe della stessa lunghezza. L'intervento alla gamba destra, durato 5 ore, è stato portato a termine da un'equipe di ortopedici e chirurghi vascolari al policlinico Gemelli di Roma.
DISPOSITIVO ELETTRONICO - In Italia è la settima volta che viene impiantata questa protesi, chiamata 'Mutars Xpand': è in titanio rivestito di nitruro di titanio ed è stata sviluppata dalla Scuola di Oncologia Ortopedica di Muenster (Germania). «Consente l'allungamento meccanico non invasivo dell'arto, attraverso una procedura eseguibile anche dal paziente o dai genitori istruiti dai medici» spiega Giulio Maccauro, responsabile dell'Unità operativa di Oncologia Ortopedica. Il modulo di allungamento è costituito da un dispositivo elettronico miniaturizzato ("attuatore") interno alla protesi, attivato tramite un ricevitore sottocutaneo da un'unità di controllo esterna gestita dal medico o dallo stesso paziente. Con "Mutars Xpand" si risolve il problema della lunghezza differente degli arti durante la crescita del bambino senza ulteriori interventi chirurgici: notevoli i vantaggi per il paziente rispetto alle altre soluzioni per il trattamento dei tumori ossei finora trattati con pratiche necessariamente demolitive o molto invasive come l’amputazione e la giroplastica (che prevede la rotazione del piede dopo resezione ossea e l’utilizzo del tallone come ginocchio). La protesi intelligente presenta dei vantaggi anche rispetto a quelle espandibili con meccanismo a vite, oggi in uso.
COME FUNZIONA - «In questi casi bisognava incidere la cute e allungare la protesi con un cacciavite speciale - spiega Maccauro -, ma ciò avveniva non senza inconvenienti per il paziente: il meccanismo poteva incepparsi e l’allungamento si bloccava; come conseguenza si avevano gravi differenze di lunghezza negli arti perché l’arto protesizzato si fermava e l’altro cresceva normalmente». Entro 10 giorni il bambino, il cui decorso post operatorio è giudicato dai sanitari più che soddisfacente e che proseguirà le cure all'Oncologia pediatrica del Gemelli, potrà tornare a casa. «La riabilitazione post operatoria - continua Maccauro - è già cominciata con l’ausilio di apparecchiature per la mobilizzazione passiva del ginocchio. L’innovazione di questo sistema risiede nella possibilità di recuperare la naturale dismetria (lunghezza differente degli arti) tra arto protesizzato e non, durante la crescita del paziente, senza ulteriori interventi chirurgici, eliminando il rischio di infezioni». La protesi Xpand trova indicazione solo nei casi di bambini in cui sia previsto un forte accrescimento del segmento femorale coinvolto dalla malattia. Tutte le componenti del sistema sono dispositivi su misura, progettati e realizzati per ogni singolo paziente. Il meccanismo si gestisce con una fonte di impulsi elettrici che si appoggia sull’elettrodo situato in una tasca del tessuto sottocutaneo del femore distale del bambino, e può essere gestita sia in ambulatorio sia a casa dai familiari.

giovedì 3 febbraio 2011

Ufo raffigurato in quadro del 400'


Il quadro in questione è esposto nel Palazzo Vecchio a Firenze, all'interno della "Sala di Saturno": si tratta de "La Madonna e San Giovannino", una natività attribuita alla scuola di Filippo Lippi, pittore fiorentino del Quindicesimo secolo.
Osservando il quadro nella parte superiore destra, si rileva chiaramente la presenza di un oggetto aereo, color grigio piombo, inclinato sulla sinistra e dotato di una "cupola" o "torretta", apparentemente identificabile come un mezzo volante di forma ovoidale in movimento. L'oggetto "misterioso" è caratterizzato dalla presenza di raggi luminosi (di colore giallo oro) che sembrano dipartire dallo scafo, sino a quasi suggerirne la direzione, vale a dire un volo dal basso verso l'alto. L'oggetto si staglia a poca distanza sulla destra del capo di una figura femminile in preghiera, la Madonna, la cui staticità, unitamente a quella delle figure e del paesaggio sullo sfondo, sono in netto contrasto con il dinamismo dell'oggetto volante. Ma c'è un altro particolare di grande rilievo: la presenza, un po' più in basso sulla destra della Vergine, di una piccola figura, probabilmente un pastore, che osserva l'oggetto, coprendosi gli occhi con la mano destra per vedere meglio. Non solo, anche il suo cane sembra, al passare dell'oggetto, raffigurato dal pittore nell'atto di abbaiare, proprio come è accaduto in moltissimi casi di avvistamenti ufologici attuali.
Dobbiamo chiederci cosa l'autore abbia voluto rappresentare, anche per il fatto che nel XV secolo non esistevano certo macchine terrestri capaci di volare. Si possono fare diverse ipotesi. Sappiamo qualcosa della personalità del Lippi, individuo per i suoi tempi abbastanza anticonvenzionale, molto impulsivo e sensibile. Occorre dunque tenere conto dei particolari commenti che su di lui sono stati fatti da numerosi critici d'arte. Vediamo, per esempio, l'annotazione che fa Piero Bargellini nel suo "Pittura fiorentina del sec. XV" a proposito del paesaggio del Lippi e della sua scuola: "Da un lato nei quadri dipinge sfondi pieni di erranti lumi, di misteriose penombre, preannunciando certe, visioni leonardesche", e più sotto: "Filippo Lippi è un pittore espressivo, non compositivo". Si potrebbe quindi quasi pensare a una volontà dell'autore di comunicare alla massa, attraverso una propria opera, una particolare sua esperienza visiva e di collegare tale avvenimento ad un soggetto particolarmente evocativo come la natività; concetto non privo di fascini ufologici. Concludendo, vorremmo sottolineare che al di là di qualsiasi dissertazione su tale dipinto e sull'oggetto raffigurato dall'autore, il problema ufologico di fatto si arricchisce continuamente di contributi interessanti, che dimostrano come il fenomeno, fin da secoli lontani, quando si sia manifestato abbia sempre sollecitato la fantasia e le capacità illustrative e "meditative" (in soggetti religiosi e spiritualistici) di artisti che avevano probabilmente visto "cose nel cielo" e, dopo averle riflesse nel loro lo interiore, le avevano espresse per gli altri.


martedì 1 febbraio 2011

Jurassik Park


Si cerca di far rinascere un Mammut dal dna di una carcassa conservata in Siberia, usando un elefante femmina come madre surrogato
Il progetto è ambizioso, ma in caso di successo riporterebbe in vita un esemplare di mammut 8mila anni dopo la sua estinzione. L’idea è di un gruppo di scienziati dell'Università di Kyoto che, sfruttando la clonazione di un campione di Dna intatto, che preleveranno dalla carcassa di un mammut conservata nel centro di ricerca di Yakutsk, in Siberia, e usando un elefante femmina come madre surrogato (il parente più prossimo del preistorico animale), sperano di far nascere nel giro dei prossimi cinque anni (ci vogliono 600 giorni o giù di lì per una gravidanza) il primo esemplare di mammut dell’era moderna.
Stando a quanto scrive il quotidiano giapponese Yomiuri Shimbun, il processo di «rinascita» prevede di iniettare il Dna del pachiderma estinto in un ovulo di elefante privo del nucleo originario; a quel punto, l’embrione verrà fatto maturare qualche giorno in laboratorio, prima di essere inserito nell’utero della femmina di elefante, che agirà come madre surrogato, nella speranza che riesca a portare a termine la gravidanza. Già negli anni scorsi alcuni scienziati avevano provato ad usare campioni di pelo congelati del gigante siberiano per ricrearne il codice genetico, ma l’esperimento era fallito perché i nuclei delle cellule erano risultati danneggiati. La svolta è, però, arrivata nel 2008, quando un altro scienziato giapponese, questa volta dell’Università di Kobe, riuscì a clonare un topo che era morto ed era stato congelato per 16 anni. Vero, anche allora non fu un esperimento facile (ci vollero 1.100 tentativi per far nascere 7 esemplari sani), ma ora gli scienziati sono ottimisti sul buon esito del progetto baby-mammut che, se davvero riuscisse, potrebbe permettere di far luce sulle reali cause che portarono all’estinzione dei pachidermi (fra le possibilità già studiate, l’avvento dell’uomo e i cambiamenti climatici). Restano, però, i dubbi di natura etica, come ha spiegato il professor Akira Iritani: «Se si potrà creare un embrione clonato – si legge sul Daily Mail – prima di trasferirlo nell’utero bisognerà però discutere su come farlo nascere e se eventualmente mostrarlo in pubblico».