"Forse"

"Forse" è la parola chiave, la parola magica che dona libertà di pensiero e di espressione. "Forse" è la parola madre di tutte le ipotesi, lo scopo di questo Blog è quello di non dare nulla per scontato per creare nuovi punti di vista ed essere promotore di nuove visioni di quel che generalmente consideriamo "realtà". Non dimenticate di partecipare ai sondaggi siamo interessati alle vostre opinioni. In Fondo alla Pagina inoltre potete Godere della TUTTI I FORSE TV la web TV d'intrattenimento e d'approfondimento dei temi trattati senza comunque mai trascurare gli argomenti più scientifici sostenuti da dati empirici, quindi sedetevi e Libero sfogo alla propria immaginazione ed al proprio intelletto!







martedì 28 settembre 2010

La Legge di Murphy

La Legge di Murphy è un insieme di detti popolari nella cultura occidentale, a carattere ironico e caricaturale. Si possono idealmente riassumere nel primo assioma, che è in realtà la "Legge di Murphy" vera e propria, che ha dato il titolo a tutto il pensiero "murphologico":
« Se qualcosa può andar male, lo farà. »

Il fortunato autore e stilatore della summa sulla "murphologia" è Arthur Bloch.
Si tratta di un compendio di frasi umoristiche il cui intento è essenzialmente quello di deridere ogni negatività che il quotidiano propone. Il meccanismo è ogni volta lo stesso: immagini e scenette frustranti, nelle quali è facile per molti ritrovarsi, vengono descritte da Bloch con frasi didascaliche, confezionate spesso e volentieri in forma statistico-matematica, così da liberare il vissuto dal contingente, dal personale, e donargli un adito di "validità universale", nei fatti tuttavia inesistente.
Il primo postulatore della legge fu l'ingegnere dell'Aereonautica statunitense Edward Murphy
Edward Murphy era uno degli ingegneri degli esperimenti con razzo-su-rotaia compiuti dalla US Air Force nel 1949 per verificare la tolleranza del corpo umano alle violente accelerazioni. Un esperimento prevedeva un gruppo di 16 accelerometri montati su diverse parti del corpo del soggetto. Erano possibili due modi in cui ciascun sensore poteva essere agganciato al suo supporto, e metodicamente i tecnici li montavano tutti e 16 nella maniera sbagliata.
Murphy pronunciò la sua storica frase,
« se ci sono due o più modi di fare una cosa,
e uno di questi modi può condurre ad una catastrofe,
allora qualcuno la farà in quel modo. 
»

L'assioma di Murphy, in senso stretto e in questa formulazione presunta originale, riassume intuitivamente un fatto statistico-matematico noto a chiunque abbia a che fare, ad esempio, con la prevenzione e la sicurezza e cioè: per quanto sia improbabile che si verifichi un certo evento, entro un numero elevato (concettualmente tendente all'infinito) di occasioni questo finirà per verificarsi sicuramente.
Pertanto queste leggi sono affermazioni caricaturali sulla realtà, che distorcono tanto la reale frequenza o probabilità di un fatto (dichiarandolo più probabile di quanto non sia veramente), tanto le valutazioni preventive operabili sul fatto stesso (confondendo la sgradevolezza e l'indesiderabilità di un fatto con la sua probabilità, che viene presunta essere bassa in modo del tutto ingiustificato).
Un esempio di applicazione alla realtà domestica è:
« La probabilità che una fetta di pane imburrata cada dalla parte del burro verso il basso su un tappeto nuovo è proporzionale al valore di quel tappeto. »

Una sua riformulazione in termini pseudoscientifici è il Paradosso del gatto imburrato:
« Se è vero che una fetta di pane cade sempre dal lato imburrato e che un gatto cade sempre in piedi, lasciando cadere un gatto con una fetta di pane sulla schiena nessuno dei due cadrà mai per primo e si avrà il moto perpetuo. »

Esiste anche una versione ispirata alla meccanica quantistica della legge di Murphy:
« Tutto va male contemporaneamente. »

Altra curiosa versione della "legge di Murphy" è rappresentata dalla cosiddetta Legge di Gumperson, che pretende di spiegare come funzionino fortuna e sfortuna:
« Le probabilità che qualcosa accada sono inversamente proporzionali alla sua desiderabilità. »

Sviluppo sulla legge di Murphy:
  • Se tutto è andato bene, evidentemente qualcosa non ha funzionato.
  • Non è vero che: non tutto il male viene per nuocere; non solo, ma anche il bene, qualora si manifestasse, viene per nuocere.
  • Tutto è perfetto, tranne il consorzio umano.
  • Anche agli animali le cose non vanno bene quando entrano in contatto con l'uomo, non fosse altro che solamente attraverso la videocamera per essere ripresi.
  • Chi bene incomincia, è a metà dell'opera, destinata a finire male.
  • Il sonno è un intervallo tra una sconfitta e l'altra, sempreché non sia popolato da incubi.
  • Quando si mangia con gusto, ci si morde.
  • Le esperienze fallimentari passate, non rendono più saggi e accorti, solamente più rintronati.
  • A meno che la giovinezza non sia una condizione permanente, il futuro è dei vecchi.
  • Quando si applica una procedura di miglioramento o mantenimento di uno "status quo" soddisfacente, si tratta di un errore di metodo, che posticiperà solamente l'avvento della catastrofe, aumentandone la forza devastatrice.

·         Quando piove, diluvia.  

sabato 25 settembre 2010

Paradosso del Bene e del Male

Enunciato: Essendo Dio "infinitamente buono" o puro bene, non potrà mai causare o essere il male; essendo Dio "onnipresente" è presente in ogni cosa, in ogni momento, e in ogni luogo; essendo dio "onnipotente" può vincere contro ogni forza antagonista.
Paradosso: Assumendo l'esistenza del male in senso cristiano, o Dio non è onnipresente (altrimenti il diavolo sarebbe una sua parte), o Dio non è onnipotente (in quanto il diavolo esiste), o Dio non è infinitamente buono (poiché il diavolo sarebbe una creazione di Dio).
Il paradosso - o questione dell'esistenza del Male - si può enunciare anche come la contraddizione stretta tra due soli principi: quello di onnipotenza e di bontà di Dio, senza attribuire alcuna rilevanza alla questione della "presenza". In tal caso la contraddizione ha solo due termini. Il diavolo (o il male) e Dio vengono così presi in considerazione solo in quanto "princìpi causali" indipendentemente da altre loro eventuali caratteristiche.
In quest'ultimo caso le considerazioni o confutazioni centrate sulla questione della "onnipresenza" non sono valide.
Una proposta di confutazione comune di questo paradosso riguarda la definizione del "male". L'obiezione più frequente è che il male è legato al "libero arbitrio" e non sarebbe possibile senza questo. Il libero arbitrio sarebbe la proprietà per cui la volontà di certe creature dipende solo da sé stessa, e non da dio. È facile riconoscere in questa idea una riformulazione del paradosso stesso piuttosto che una vera risposta. In senso logico causale, infatti: 1) Ha un significato affermare che una cosa, benché creata da dio, in nessun modo dipende da dio? 2) Il fatto di creare un essere dotato di capacità intrinseca di fare il male, e che quindi potrebbe dannarsi, non potrebbe essere di per sé essere già considerata una azione malvagia? (In quanto deliberatamente pericolosa e gratuita).
In generale: il libero arbitrio è il concetto che viene più spesso portato a confutazione del paradosso, ma questo stesso concetto è opinabile e paradossale. L'idea che il "libero arbitrio" esista, o che la sua esistenza sia "buona", costituiscono assiomi indimostrabili, e non sono accettati da tutti.
Infine, si osserva che la definizione di "male" dovrebbe essere consistente con la pratica (per esempio, tutti cercano di curare le malattie o di difendersi dalle catastrofi naturali, non considerano "male" solo le azioni prodotte da esseri umani) perciò è comunque difficile trovare una definizione di "male" che racchiude solo cose generate dal libero arbitrio, tralasciando per esempio il caso o la natura, che si assume creata da dio stesso, e mantenere allo stesso tempo una coerenza di discorso.

Possibili confutazioni

Relative all'onnipresenza di dio. L'onnipresenza di dio non limita la sua dimensione all'universo: un dio potrebbe esistere in un numero maggiore di dimensioni spaziali rispetto all'universo e quindi essere onnipresente senza che il Diavolo ne sia una sua parte.  Inoltre non è detto che dio sia onnipresente; ad esempio nel cristianesimo dio è inteso come omni-agente, ma non onnipresente, cioè la creazione non è parte di dio.
Relative all'esistenza o definizione di male. Un altro problema del paradosso è la definizione di male: supponendo come definizione di male il risultato delle azioni delle creature (comprendendo sia l'uomo che il diavolo) dirette contro Dio, allora Dio non è responsabile del male, bensì lo sono le sue creature. Se il male non è "creato da Dio", ma manifestato da esseri dotati di libero arbitrio, il paradosso non è più tale. Per quanto detto nei paragrafi sopra, però, i sostenitori del paradosso non considerano il concetto di "libero arbitrio" come risposta al problema, dal momento che l'onnipotenza è troppo "forte" come principio logico-causale, mentre la condizione di "libertà" di un'altra creatura è vista come contraddittoria.

venerdì 24 settembre 2010

Topi ibernati e risvegliati. Il Prossimo è l’uomo

Riassumendo dal post precedente:
Esistono associazioni in America che conservano il corpo delle persone in cambio di una ingente quantità di denaro. Questa tecnica di conservazione del corpo è chiamata criogenizzazione.
Le persone che usufruiscono di questa tecnica sono i cronauti e confidano che un domani possano essere riportati in vita.  Difficilissimo però che questo loro "sogno" possa realizzarsi, la difficoltà non sta tanto nel curare la malattia che li ha fatti morire, quanto, piuttosto a rimediare ai danni dell'ibernazione. L'ibernazione blocca la putrefazione, ma l'acqua trasformata in ghiaccio danneggia in modo irreparabile il corpo. la criogenizzazione usa l'azoto liquido che dà la possibilita' di mantenere organismi biologici criogenizzati per lungo tempo e senza danni permanenti (testato almeno sugli embrioni).
A livello ipotetico si potrebbe vivere, i danni si' sono comunque permanenti a livello intracellulare, ma chi vende queste macchine costosissime pensa che con le nanotecnologie si potra' ristrutturare i danni da criogenizzazione.

Un ulteriore soluzione che apre nuove strade anche nelle cure mediche di gravi malattie sembra giungere da un recente studio sui topi:


Topi ibernati e risvegliati. Il Prossimo è l’uomoTrovato il metodo per congelare un corpo a comando, senza danni
Lo studio apre la strada a nuove cure per infarto e cancro

L’idea, per quanto ancora lontana, è quella di ibernare i pazienti per curare meglio alcune malattie, un’ipotesi scientifica su cui lavorare per risolvere emergenze mediche.E anche per aiutare gli astronauti del futuro, impiegati in lunghe missioni spaziali, magari verso Marte. Un gruppo di ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, guidati da Mark Roth, sono riusciti a indurre nei topi un sonno profondo grazie a un gas, l’acido solfidrico. Questa sostanza, prodotta normalmente dalle cellule, è tossica, ma a piccole dosi è capace di ridurre il consumo di ossigeno nell’organismo.
IN LETARGO — Animazione sospesa, chiamano gli esperti questa condizione che si verifica in natura quando gli animali, dai rettili ai mammiferi, vanno in letargo. «E’ una situazione — spiega Marco Biggiogera dell’università di Pavia—caratterizzata da una riduzione del metabolismo, della temperatura e del consumo di energia. Che può essere utile ottenere per conservare più a lungo un organo da trapiantare, per esempio, o, in futuro, per proteggere il cuore in caso di infarto o il cervello dopo un ictus. Si tratta di due situazioni in cui l’afflusso di sangue e di ossigeno ai tessuti è diminuito e che trarrebbero giovamento dalla riduzione del metabolismo». I topolini dell’esperimento americano, pubblicato sulla rivista Science, si sono risvegliati dopo sei ore, quando sono stati esposti all’aria fresca, e non hanno riportato danni apparenti ai loro organi. Mentre si trovavano «in letargo», la frequenza del loro respiro si è ridotta da 120 atti a meno di 10 al minuto, la temperatura è scesa da 37 gradi a 11, in funzione della temperatura ambiente. «Ma gli animali che vanno in letargo naturalmente — precisa Manuela Malatesta dell’Università di Urbino — arrivano, se sono piccoli come il ghiro, a temperature di 3-4 gradi centigradi. Quelli più grandi, come l’orso, arrivano fino a 24-26 gradi. I meccanismi che inducono il letargo non sono ancora chiari e sono più di uno. Per esempio esistono enzimi e geni che si attivano o inattivano a seconda della temperatura ». Certi interventi chirurgici sull’uomo, del resto, vengono eseguiti in ipotermia: l’abbassamento della temperatura riduce il consumo di ossigeno e di conseguenza protegge i tessuti che, durante l’operazione, possono non essere sufficientemente irrorati dal sangue.
RIVOLUZIONE—La rivoluzione terapeutica, che si può ipotizzare grazie all’«ibernazione a comando», non riguarderebbe soltanto l’infarto e l’ictus, ma anche la cura dei tumori perché potrebbe permettere al paziente di sopportare dosi elevate di radiazioni o di chemioterapici senza danni per i tessuti sani. Le cellule neoplastiche, infatti, crescono indipendentemente dall’ossigeno e sono più resistenti alle radiazioni rispetto alle cellule sane che non vivono senza ossigeno: se si ibernano queste ultime privandole dell’ossigeno, si rendono meno vulnerabili alla radio o alla chemioterapia. L’obiettivo della ricerca è ora quello di trovare una sostanza capace di indurre l’ibernazione senza effetti collaterali. «Negli animali è stata isolata una sostanza chiamata Hit, capace di indurre ibernazione, spiega Manuela Malatesta. «Noi a Pavia stiamo conducendo esperimenti con il Dadle, una sostanza simile agli oppiacei — precisa Bigioggera che con Manuela Maltesta e Carlo Zancanaro dell’Università di Verona ha redatto per l’Esa, l’Agenzia spaziale europea, un rapporto sui sistemi di ibernazione —. Se riuscissimo a provocare sonno negli astronauti, ridurremmo il loro consumo di energia, evitando di sovraccaricare le navicella con generi alimentari

Forse ci stiamo davvero avvicinando...

lunedì 20 settembre 2010

Ibernazione Umana

Il 12 gennaio 1967 a Los Angeles, California, il primo "paziente" veniva trattato con speciali agenti protettivi e congelato immediatamente dopo la morte, nella speranza che future tecnologie ne permettessero il ritorno in vita ed il ringiovanimento.  Tale procedura è la crionica (a volte chiamata ibernazione, ibernazione umana, criopreservazione, biostasi o sospensione crionica). Essa mette in discussione il concetto tradizionale di morte e i limiti "naturali" della vita. Più specificamente,  la morte è la perdita irreversibile dell'informazione contenuta nel cervello (cioè le nostre memorie e la nostra personalità). Una volta deteriorata la struttura del cervello, l'informazione in essa contenuta è irrimediabilmente persa e con essa ogni traccia della persona definita da tale informazione. Ma se la struttura del cervello fosse mantenuta intatta dopo la morte? Se si potesse prevenire la perdita delle strutture neuronali in cui la nostra personalità e i nostri ricordi sono codificati?  In effetti, tutto ciò è già possibile con la tecnologia odierna, anche se non in maniera perfetta. Alcune centinaia di persone, organizzate in varie organizzazioni, intendono farsi congelare (una volta morti),  nel tentativo di prevenire la perdita irreversibile dell'informazione iscritta nel proprio cervello. Il problema è che, se da una parte è possibile preservare le strutture del cervello con tecniche attuali, non è invece ancora possibile rianimare una persona congelata. Se il progresso scientifico continuerà nella sua marcia, un giorno tale rianimazione potrebbe essere una realtà, così come oggi sono una realtà procedure quali il trapianto di organi e le terapie geniche, che generazioni precedenti avrebbero considerato miracoli (o fantascienza). Ralph Merkle, nel suo articolo "La riparazione a livello molecolare del cervello", così descrive il concetto di morte secondo la teoria dell'informazione: "una  persona è morta, secondo il criterio della teoria dell'informazione, se le sue memorie, personalità, speranze, sogni, etc. sono state distrutte. Questo significa che se le strutture del cervello che codificano la memoria e la personalità sono state danneggiate al punto che non sia possibile riportarle al corretto stato funzionale, allora la persona è morta. Se le strutture che codificano la memoria e la personalità sono invece sufficientemente intatte ed è possibile fare delle deduzioni sulla memoria e sulla personalità in esse codificate, allora il recupero di un appropriato stato funzionale è possibile, almeno in principio e la persona in questione non è morta. " Solo partendo da questi presupposti si può intravedere la logica nascosta dietro un atto, come appunto quello di congelare una persona recentemente deceduta, che sarebbe altrimenti privo di qualsiasi fondamento.

Testimonianza di un Italiano:
L’avvocato Vitto Claut è nato a Montereale Valcellina, vive a Pordenone, ha due studi legali, uno in città e uno a Udine, è single, senza figli («Ma è come se ne avessi cinquanta sparsi per l’Italia, metà carriera l’ho passata facendo adozioni internazionali»), ha 57 anni e vorrebbe viverne almeno altri trecento: «Ma basterebbe anche un giorno in più di quanto ha stabilito il destino». Desiderio legittimo e comune a ogni mortale. Vitto Claut, però - sarà per deformazione professionale - i desideri tende a trasformarli in fatti concreti. È per questo che ha firmato un contratto con l’Alcor Life Extension Foundation di Scottsdale, Arizona - il più importante centro di criogenesi del mondo - per essere ibernato dopo la morte.
È il primo italiano a farlo, e l’unico finora. Ed è talmente entusiasta, che è già proiettato nella fase successiva del progetto: creare anche in Italia un istituto per l’«estensione della vita», tre parole magiche che riecheggiano in decine di romanzi, film e fumetti: «Mi piacerebbe trovare un imprenditore che lavori con me per creare un centro come quello americano. Perché? Per dare una speranza in più alle persone». Speranza: la parola chiave. «Tutto è iniziato circa sette  anni fa, quando venni a sapere dell’esistenza negli Stati Uniti di un istituto dove i corpi delle persone vengono portati a temperature che arrestano il decadimento fisico fino a che la scienza riuscirà a riportarli in vita. Una speranza in più per l’umanità, insomma. “Devo andare là e capire come funziona”, mi dico».
E così, nell’estate del 2003 l’avvocato Vitto Claut vola in Arizona e si ferma una settimana alla Alcor per un sopralluogo: «Molto gentili, mi hanno spiegato le procedure, i termini del contratto e fatto visitare il centro: in quel momento si trovavano ibernate sessanta persone, oggi sono più di cento, tra i quali personaggi famosi: lo psicologo James Bedford, il primo uomo a essere criogenizzato, nel ’67, e poi senatori, industriali, il campione di baseball Ted Williams...».
L’avvocato Vitto Claut, non ha mai amato i romanzi o film di fantascienza - «semmai i western» -, ha girato 160 Paesi, dal Cile all’Australia, un po’ per necessità («Facevo la guida turistica per pagarmi gli studi»), un po’ per lavoro («Come avvocato per anni ho accompagnato all’estero le famiglie che adottavano bambini») e soprattutto, da buon avvocato, è un tipo molto scrupoloso: «Mi sono preso un anno per decidere. Ho voluto sapere tutto, studiarmi ogni clausola del contratto, capire le conseguenze giuridiche per quanto riguarda i beni personali in Italia, che andranno ai miei eredi mentre io semplicemente pago una rata annuale perché la Alcor dopo morto mi tenga ibernato nei suoi laboratori fino a quando si troverà il metodo di riportarmi in vita. Quando mi è stato tutto chiaro, sono tornato in America e ho firmato. Naturalmente dopo aver fatto tutte le visite mediche di rito, per via dell’assicurazione».
Assicurazione, esatto. Perché la Alcor non accetta clienti affetti da Aids, o malati terminali o comunque con una prospettiva di vita troppo breve. Perché la Fondazione possa disporre del denaro necessario a mantenersi, occorre che i soci paghino, da vivi, un certo numero di quote. «La Alcor non è una società, ma un’associazione senza scopo di lucro. Se muoio prima, smetto di pagare e godo comunque del servizio di ibernazione. Se invece precipito con l’aereo e il mio corpo è irrecuperabile, allora niente criogenesi e la Fondazione si tiene tutto quello che ho già versato usandolo per la ricerca. Ogni anno si paga una rata di 3600 dollari, fino a un totale di 175mila dollari che è il costo complessivo per il mantenimento del corpo ibernato all’interno del centro. Per la testa soltanto, un po’ meno». Questo è più difficile da immaginare, ma la Alcor, che non per nulla è stata inventata da americani, notoriamente gente pragmatica, oltre al servizio di «criogenesi totale», offre anche la possibilità (a prezzi decisamente più contenuti: 80mila dollari) della «neurosospensione». A essere ibernata cioè è solo la testa, l’unico organo, a pensarci bene, davvero insostituibile, perché quando ci si risveglierà – se
ci si risveglierà - la scienza avrà trovato il modo di innestare il cervello in un nuovo corpo.
A oggi, sono già un centinaio i «pazienti» conservati sotto zero all’interno della Alcor in attesa di risorgere e circa 800 le persone in lista di attesa per essere sottoposte al trattamento al momento della loro morte. Per farlo, però, hanno solo sei ore di tempo. «Il processo di ibernazione deve iniziare subito, nel giro di poche ore. E se io muoio in Italia? Addio criogenesi, ho fatto tutto per nulla. È per questo, capisce, che è importante aprire un centro anche qui da noi. Comunque, se invece mi viene diagnosticata una malattia “controllabile”, quando sono al limite mi trasferisco in Arizona in un ospedale convenzionato con la Fondazione e rimango lì in attesa...». In attesa del trapasso, della certificazione medica di morte avvenuta, poi della sostituzione del sangue con glicerina, del raffreddamento progressivo del corpo, infine dell’incapsulamento, avvolto in un foglio metallico e a testa in giù («Dicono serva a conservare meglio il cervello») in un contenitore blindato che viene portato a 200 gradi sotto zero. «Li ho visti. Sono dei contenitori di acciaio alti cinque metri, sembrano dei barilot, così li chiamiamo in friulano. L’istituto, invece, più che un ospedale sembra un’università: un edificio basso, molto grande, con sale conferenze, laboratori, uffici...».
Vitto Claut, detto per inciso, da anni sovvenziona un istituto per bambini sordo-muti in Congo, a Brazzaville, città fondata nel 1880 da un suo compaesano, Pietro Savorgnan di Brazzà. È per loro che ogni settimana gioca all’Enalotto: spera di vincere la somma necessaria per ingrandire l’ospedale. «Capisce adesso perché mi faccio ibernare? È come fare la schedina. Anche se ho una sola possibilità su un miliardo di essere riportato in vita, io me la gioco. Sono fatto così».
La madre, 85 anni e una fede di ferro, dice semplicemente che è matto, ma lo dice ridendo. «Mamma è cattolicissima, io invece sono... non voglio dire ateo, ma indifferente all’altra vita. Credo solo in questa, che mi piace troppo peraltro. È la ragione per la quale voglio provare a viverne un altro pezzo tra un paio di secoli. Anche solo un giorno, o un mese chissà. Cosa farò se riescono a riportarmi in vita nel futuro? Bella domanda... Tutto quello che non sono riuscito a fare nel passato. E se l’uomo sarà andato su Marte, andrò a farmi un bel viaggio».   

domenica 19 settembre 2010

Il Paradosso dell' Onnipotenza

Il paradosso dell'onnipotenza è un noto paradosso teologico e filosofico formulato in diverse forme: si chiede se un ente onnipotente possa creare un oggetto (un masso inamovibile, una costruzione indistruttibile) dotato di una caratteristica tale da mettere in crisi la sua stessa onnipotenza.

La risposta che se ne ricava è la non esistenza dell'onnipotenza (si tratta quindi di un paradosso negativo o logico) perché se l'ente non è in grado di creare tale oggetto non sarebbe onnipotente, mentre se lo creasse avrebbe creato un qualcosa che di fatto limita la sua onnipotenza sconfessandola come tale; nel corso dei secoli sono state date diverse risposte e confutazioni.
Per la consistenza logica, non può esistere nello stesso universo un oggetto inamovibile ed una forza irresistibile. Ovvero nella stessa "struttura logica" non possono essere vere contemporaneamente una certa affermazione (A) e la sua negazione (non A).


Possibili confutazioni:
Seguendo l'indicazione di Cartesio, Dio può creare qualcosa che non può spostare e, nonostante tutto, spostarla. In realtà si comprende bene, che questa non è veramente una risposta, dal momento che se si rinuncia alla logica non ha neanche senso parlare di paradossi, consistenza o verità.
Una semplice confutazione consiste nell'osservare che se l'agire di Dio dovesse obbedire alle leggi della logica, dio non sarebbe "onnipotente". Dio quindi è al di sopra della logica stessa e non si possono applicare le "misure" della logica umana alla sua natura; questo ragionamento che sposta il concetto di Dio definitivamente oltre la logica però, se esteso, lo rende anche un oggetto totalmente insondabile dalla ragione umana e quindi anche da qualunque pretesa di voler parlare di esso in termini oggettivi e quindi validi per tutti gli uomini.
Dio potrebbe limitarsi a non creare ciò che poi non può spostare, così il paradosso anziché essere risolto verrebbe semplicemente aggirato. In effetti il fatto di essere onnipotenti significa poter fare ciò che si vuole e non necessariamente doverlo fare.
Se si pensa all'onnipotenza come alla possibilità di fare tutto ciò che è voluto, visto che Dio può non voler compiere certi atti, un Dio che sceglie di non andare contro la logica è comunque onnipotente.
Un'altra possibile confutazione è che il dilemma si fonda su un concetto traviato di onnipotenza: se a Dio manca il potere di autodistruggersi allora non è onnipotente. Però il potere di autodistruggersi non è veramente un potere ma quasi una debolezza quindi si ricade di nuovo nella definizione di Dio per cui dato che Dio non ha debolezze non ha nemmeno il potere di autodistruggersi come nemmeno quello di rinnegare se stesso. Questo non è un di meno quindi ma anzi è prova maggiore di onnipotenza. Se però il paradosso non fosse menomativo ma accrescitivo ricadremmo comunque nello stesso assurdo. Infatti può Dio creare un altro Dio suo pari? Questa domanda andrebbe contro il presupposto che Dio è eterno e che è unico.

venerdì 17 settembre 2010

Un mistero per i medici: un uomo sopravvive senza cibo e acqua da 74 anni

Si tratta di un asceta indiano: è l’uomo di 82 anni, che da 74 (cioè da quando di anni ne aveva 8),  sopravvive senza cibo e acqua. E’ attualmente in ospedale per essere sottoposto a dei controlli
L’uomo che sopravvive da 74 anni senza cibo e acqua si chiama Prahlad Jani ed è attualmente ricoverato in un ospedale dello stato del Gujrat: non perché stia male, ma per essere “studiato” da uno staff di medici, che cercheranno di scoprire come fa un uomo a resistere tanto a lungo senza cibo e senza acqua.
Lo staff di medici appartiene al Defence Institute of Physiologist and Allied Science (Dipas), un centro di ricerca della difesa; a detta dell’asceta indiano, sarebbe la sua tecnica di meditazione yoga a fornirgli la resistenza necessaria.
Prahlad Jani era già stato sottoposto ad una serie di studi da un altro staff di medici nel 2003, ma non si era approdati ad alcun risultato: sembrerebbe che l’asceta indiano, dicono, “sia capace di produrre urina nella sua vescica e poi in base alla sua volontà di rimandarla in circolo”.

giovedì 16 settembre 2010

Il sisma del 1908 cambiò il Dna dei siciliani

La scossa che distrusse Messina provocò una fuoriuscita di radon e modificò il codice genetico
Le ampiezze dei tracciati del terremoto sono così grandi che non sono entrate nei cilindri dei sismografi. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave». La «parte» che gli addetti dell'osservatorio ximeniano di Firenze non riescono in prima battuta a identificare era Messina, epicentro della madre delle catastrofi del XX secolo. Alle 5,41 del 28 dicembre 1908 il terremoto fa crollare il 90% dei palazzi, seppellisce 80 mila dei 140 mila abitanti, provoca uno tsunami che con tre onde successive alte più di dodici metri inghiotte i poveretti che avevano cercato scampo sul mare. Ma innesca anche - liberando grandi quantità di gas radon - una modifica del Dna che caratterizza ancora, dopo generazioni, la popolazione vicina allo Stretto.

Questa l'ipotesi di un pool di esperti siciliani capitanati dall'ematologo Calogero Ciaccio, il fondatore della Banca del cordone ombelicale di Sciacca dalla quale sono passati dal 1999 al 2006 diecimila codici genetici di donatori di midollo e di sangue. Una scoperta destinata a innescare un nuovo dibattito su Darwin nella comunità scientifica internazionale. E che porta lontano, alla storia del collo lungo delle giraffe. Serve a raggiungere gli alberi per mangiare, d'accordo. Ma che cosa ha determinato questa caratteristica? La grande roulette del Dna che ha tirato fuori a caso un gene che si è rivelato competitivo e si è affermato? Oppure proprio quelle fronde così alte? Se il padre dell'evoluzionismo sosteneva che le mutazioni delle specie sono spontanee (e che, se vantaggiose, vengono selezionate per il futuro), questo studio teorizza invece che è l'ambiente a influenzare direttamente i geni, e in particolare un sistema del Dna che si chiama HLA. Nei siciliani e nei calabresi dello Stretto è più frequente la molecola DR11, con percentuali sovrapponibili alla forza delle onde sismiche di un secolo fa: si trova nel 54% della popolazione di Messina, nel 44 di quella di Caltanissetta - nel cuore della Sicilia - e solo nel 38% di quella di Trapani, al capo opposto dell'isola. Dati che hanno fatto accendere la lampadina all'équipe di studiosi.

E che li hanno fatti saltare dalla sedia quando hanno scoperto che nell'Italia peninsulare si riproduceva esattamente la stessa situazione: molecola molto presente nelle città vicine allo Stretto, sempre meno via via che si risale lo Stivale: 56 per cento a Reggio, 44 a Vibo Valentia e 38 a Cosenza. Tutto quadrava per sostenere che Scilla e Cariddi erano state l'epicentro di un piccolo terremoto genetico. Ma dovuto a che cosa? Dominazioni straniere, incursioni, flussi migratori, epidemie? Le riunioni con storici e studiosi locali hanno escluso qualsiasi spiegazione che avesse un capo e una coda. Sul tavolo è rimasto il disastro di Messina, dodicesimo grado della scala Mercalli, 7,2 di quella Richter, un cataclisma che seppellì più di mezza città: gli aristocratici e i borghesi che poche ore prima avevano celebrato il rito laico della prima dell'Aida al teatro lirico (restò sotto le macerie anche il tenore-Radames) e il popolo che aveva festeggiato Santa Lucia.

Solo un'ipotesi, agli inizi timida e trepidante. Poi sempre più rafforzata dalle controprove. A partire dalla misurazione della radioattività in Sicilia e in Calabria, il cui livello è perfettamente sovrapponibile alla presenza del DR11: più è alta, più è diffusa la molecola nel Dna della popolazione. Per finire con la scoperta della bassa incidenza del tumore al polmone negli abitanti dello Stretto rispetto al resto della Sicilia e della Calabria, nonostante l'alta percentuale di radon, che è la seconda causa di insorgenza della malattia dopo il fumo. La mutazione genetica sarebbe insomma una risposta della natura per proteggere la popolazione dagli effetti del gas.
Una difesa che risparmia la vita, ancora oggi, a duecento persone ogni anno, e che ha una memoria lunga: a dispetto delle leggi di Mendel sulla trasmissione dei caratteri ereditari, da coppie con un solo partner portatore del Dna "terremotato" sono nati il 75 per cento dei figli con la stessa caratteristica e non il 50. A questo punto manca la prova del nove. Cioè il test genetico sulle vittime del sisma. I carabinieri del Ris di Messina hanno già esumato cento scheletri dalle chiese. Se la particella «protettiva» non è frequente come oggi, sarà sicuro che è stato il terremoto a indurre il cambiamento. E parte della genetica, probabilmente, dovrà essere riscritta.

martedì 14 settembre 2010

Studio sul cervello di Einstein

La ricerca, compiuta a Losanna sotto la guida di un italiano, ripensa i meccanismi della comunicazione fra le cellule:

Investigando la struttura del cervello di Einstein, un'equipe di ricercatori guidata dall'italiano Andrea Volterra è arrivata ad una scoperta inattesa, potenzialmente determinante nella cura di malattie come l'Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica, l'epilessia.

Lo studio dell'università svizzera, condotta dal dipartimento di Biologia cellulare e morfologia dell'Università di Losanna in collaborazione con quelle di Padova e di Oslo, mirava inizialmente a individuare le caratteristiche peculiari del cervello di Einstein. E poggiava su un precedente: un esperimento anatomico sulla materia cerebrale del Nobel tedesco condotto a Berkeley nel 1985. Gli scienziati americani ne avevano contato le cellule, concludendo che quelle gliali erano presenti in numero maggiore rispetto alla media.

Muovendo da questa constatazione, Volterra e suoi colleghi sono giunti a una conclusione imprevista. Hanno scoperto che le cellule gliali (quelle che assieme ai neuroni costituiscono la meteria cerebrale), finora considerate di puro "contorno", avrebbero in realtà un ruolo fondamentale nella trasmissione delle informazioni tra cellule. Alcune funzioni di base del cervello dovrebbero quindi essere ripensate. Con implicazioni potenzialmente decisive nella cura di molte malattie neuro-degenerative.
Andrea Volterra: "Fino ad oggi sapevamo che la comunicazione fra cellule nervose avveniva attraverso segnali elettrici. E che in questa attività il ruolo fondamentale era affidato ai neuroni. In realtà, la nostra scoperta mostra che le cellule gliali - che si trovano attorno ai neuroni e sono quasi il 90% delle cellule celebrali - partecipano alla comunicazione cellulare, scambiando segnali con i neuroni stessi. E lo fanno interferendo con l'attività funzionale delle sinapsi, i centri dove si formano le basi della memoria. Questo significa che le cellule gliali comunicano con un linguaggio proprio, diverso da quello dei neuroni... avere più cellule gliali potrebbe significare, in base ad dati che noi abbiamo, più capacità di elaborazione e quindi migliori prestazioni intellettuali… questo è solo un punto di partenza. Quello che abbiamo scoperto può essere applicato sia alla ricerca sul funzionamento normale dell'attività cerebrale (per esempio i meccanismi della memoria), che alle patologie. In particolare alle malattie neuro-degenerative. Ad esempio, il morbo di Alzheimer, dove la mancanza della memoria ha un ruolo fondamentale. Il difetto che, nella malattia, porta alla morte dei neuroni potrebbe infatti essere dovuto ad un cattivo funzionamento non solo dei neuroni ma anche delle cellule gliali… la nostra scoperta potrebbe avere delle implicazioni nella cura della sclerosi laterale amiotrofica e anche dell'epilessia”.

lunedì 13 settembre 2010

UNA PROFEZIA DI PAPA GIOVANNI XXIII

- In sette dalla Grecia per il mondo, dopo la visione. E nuove parole conquisteranno la terra.

- Ripetute dal Cristo.
- Ripetute dai suoi nuovi figli. Sarà momento di risveglio e di grandi canti.
- I rotoli verranno trovati nelle Azzorre e parleranno di antiche civiltà che agli uomini insegneranno antiche cose a essi sconosciute. La morte sarà allontanata e poco sarà il dolore.
- Le cose della terra, dai rotoli, parleranno agli uomini delle cose del cielo.
- Sempre più numerosi i segni.
- Le luci nel cielo saranno rosse, azzurre, verdi, veloci. Cresceranno.
- Qualcuno viene da lontano, vuole incontrare gli uomini della terra.
- Incontri ci sono già stati. Ma chi ha visto veramente ha taciuto.
- Se si spegne una stella è già morta. Ma la luce che si avvicina è qualcuno che è morto e che ritorna.
- Nelle carte del sotterraneo di ferro di Wernher, segrete sempre, la risposta, allo scoperto. Il tempo non è quello che conosciamo.
- Abbiamo fratelli vivi, fratelli morti. Non siamo noi stessi, il tempo ci confonde.
- Benvenuto Arthur ragazzo del passato. Tu sarai la prova. E incontrerai il Padre della Madre.

Sono coincidenze o sapeva?


Isole Azzorre:

"Al di là di quello stretto di mare chiamato Le Colonne d'Ercole, si trovava allora un'isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole, e da queste isole alla terraferma di fronte (...). In quell'isola chiamata Atlantide v' era un regno che dominava non solo tutta l'isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente al di là: il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle Colonne d'Ercole; includendo la Libia, l'Egitto e altre regioni dell'Europa fino alla Tirrenia ... ".

A parlare è Crizia, parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella capitale amministrativa dell'Egitto, Sais. Qui aveva cercato di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei confronti di un altro su cui gli Egizi possedevano molta documentazione scritta. Secondo il sacerdote egiziano, una civiltà evoluta era esistita per secoli su "un'isola più grande della Libia e dell Asia messe insieme" l'isola era stata distrutta novemila anni prima da un immane cataclisma insieme a tutti i suoi abitanti. Le parole di Crizia sono riportate nei "Dialoghi" Timeo e Crizia, scritti da Platone attorno al 340 a.C.. Ecco come il filosofo greco descrive l'isola, sempre per bocca del sacerdote egiziano:

"Dal mare, verso il mezzo dell'intera isola, c'era una pianura; la più bella e la più fertile di tutte le pianure, e rispetto al centro sorgeva una montagna non molto alta (...)."

Da questo racconto si scopre, dunque, che in un'epoca antica esisteva nell'oceano, oltre l'attuale stretto di Gibilterra, davanti alle colonne d'Ercole, una grande isola chiamata Atlantide.

Nel 1898 una nave posacavi, nel tentativo di recuperare un cavo che si era spezzato a nord delle azzorre, portò in superficie frammenti di tachilite, una lava vetrosa che si forma esclusivamente sopra il livello delle acque e in ambiente atmosferico. Da qui una possibile prova di colossali inabissamenti, nel corso dei quali intere isole e forse continenti sono scomparsi sotto la coltre oceanica.

Wernher Von Braun: ( colui che ha progettato il razzo spaziale che nel 1969 portò l’uomo sulla Luna)"….era riuscito a far trasferire, con due autocarri, i disegni fondamentali della V2 in una miniera di ferro
abbandonata nelle montagne dell'Harz...".  Potete trovare la sua biografia in questi link:  http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=99&biografia=Wernher+Von+Braun http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/vonbrau2.htm

Da notare che Papa Giovanni XIII  morì nel 1963.

sabato 11 settembre 2010

La Torre di Babele


La torre di Babele è la leggendaria costruzione di cui narra la Bibbia nel libro della Genesi: 11,1-9.


LUOGO: fu costruita sul fiume Eufrate nel Sennaar , Mesopotamia.

LEGGENDA: La torre (in mattoni) fu costruita nel Sennaar (in Mesopotamia) dagli uomini con l'intenzione di arrivare al cielo e dunque a Dio. Secondo il racconto biblico, all'epoca gli uomini parlavano tutti la medesima lingua. La torre era anche un simbolo di unità degli uomini gli uni con gli altri e tutti insieme con Dio. Ma Dio creò scompiglio nelle genti e, facendo sì che le persone parlassero lingue diverse e non si capissero più, impedì che la costruzione della torre venisse portata a termine.

Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

I TESTI SUMERI: Secondo i testi sumeri dopo il Diluvio, quando la Terra venne ridivisa, si ebbero dispute per i territori che sfociarono in una feroce guerra tra gli dèi.

L'esito di quel conflitto consegnò la supremazia tra gli dèi a Enlil e in modo particolare al suo primogenito Ninurta. Col tempo, quando gli effetti del Diluvio si alleviarono sufficientemente nelle pianure tra il Tigri e l'Eufrate, soltanto a Enki, come concordato, venne permesso di ricostruire la sua città antidiluviana (Eridu). Le richieste di Marduk di ricostruire la sua città antidiluviana (Babilonia) non incontrarono reazioni favorevoli.

Parrebbe che la storia biblica della Torre di Babele abbia le sue radici in questo conflitto. Marduk, in quanto dio più importante di Babilonia in tempi successivi, è il probabile ideatore; ma qual era la natura della "torre"? I sostenitori di Marduk, "Venite, fabbrichiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo, facciamo così uno shem...". Zecharia Sitchin segnala l'esistenza di un testo accadico che ripropone i resoconti biblici di come poi andarono le cose.

Il racconto accadico conferma che la gente di Marduk venne effettivamente sparpagliata. Ma diversamente dal concetto generale contenuto nella Bibbia, la Torre di Babele va qui inquadrata come un episodio circoscritto, che ebbe effetto su un gruppo di individui relativamente piccolo.

Qual è la datazione dell'episodio della Torre di Babele? Zecharia Sitchin lo colloca in un momento di poco antecedente il ritorno di Marduk nelle sue terre egiziane, dov'era conosciuto con il nome di Rà: ciò avvenne intorno al 3450 a.C., quando l'Egitto entro nei 350 anni di caos prima dell'avvio della sua civiltà intorno al 3100 a.c.? L'episodio babilonese non dev'essere accaduto prima di quello delle città sumere di Eridu e di Nippur. Si puo' quindi collocare tra il 3800 e il 3450 a.c.

I FATTI: Il racconto dà conto del progetto di Dio che gli uomini si dividano e popolino tutta la terra e nel contempo spiega mitologicamente l'origine delle differenze di linguaggio tra gli uomini. Un altro significato del racconto sovente impiegato allegoricamente nei secoli successivi è quello di punizione per un atto di superbia: il tentativo di alzarsi al cielo; anche se questo può far pensare ad un Dio fantoccio il quale, dopo aver intrappolato l'umanità sulla Terra, gli impedisce di compiere l'atto di ricongiungimento (re-ligio) con il Dio Altissimo; la punizione sarebbe un gesto improprio per Dio nei confronti dell'uomo, che secondo ogni religione deve cercare con tutte le proprie forze di tornare a Dio elevandosi dalla miserevole condizione in cui giace sulla Terra. Nella simbologia cristiana, pare significativo che durante la Pentecoste gli apostoli, tornando ad essere comprensibili da popoli parlanti lingue diverse, vincono la spaccatura originata a Babele da Dio stesso.

Interessante notare che il fatto che durante la costruzione della torre di Babele tutti gli uomini parlassero la medesima lingua è in contraddizione con Genesi 10: qui si legge che i figli di Noè avevano ciascuno un proprio territorio e una propria lingua. In questo racconto la differenziazione linguistico-culturale non avviene per punizione divina ma come processo naturale.

Lascia perplessi anche un altro confronto: gli uomini dicono di voler costruire la Torre per non essere dispersi sulla faccia della Terra; all'istante, Dio scende e li disperde sulla faccia della Terra, proprio perché gli uomini hanno cercato di evitarlo.

È’ altresì interessante l'uso, in questo capitolo biblico, del termine ebraico (Shem): nel versetto 4, gli uomini si accingono a costruire la Torre per farsi un nome, acquisire fama ; al termine del racconto della Torre, al versetto 10, comincia la genealogia di Sem che significa proprio nome o fama, come se il personaggio di Sem rappresentasse simbolicamente il nome che gli uomini hanno appena acquisito; le parole pronunciate da Dio durante il suo intervento, infatti, non hanno un tono punitivo, e l'intero episodio della Torre può essere letto non in chiave punitiva ma come la realizzazione di un piano di Dio stesso. Nel versetto 9, si legge che «il Signore ... disperse coloro di là sopra la faccia di tutta la terra». Anche qui compare il termine ebraico, che può significare anche là. Questo versetto può quindi anche essere letto come: il Signore ... diffuse coloro dal Nome sopra la faccia di tutta la terra, dando al racconto un carattere decisamente positivo e costruttivo: immediatamente dopo viene data, infatti, la genealogia del Nome... ed essendoci una certa corrispondenza, nelle Scritture, tra nomi e luoghi, la genealogia di Sem può venir identificata proprio con la diffusione degli uomini (costruttori della Torre) sulla Terra.

La tradizione esegetica ebraica spiega che alcune delle cause che comportarono la punizione per la sfida a Dio avvenuta con la costruzione della Torre di Babele furono le seguenti:

compreso il segreto delle lettere dell'alfabeto ebraico, sino a quel momento la sola lingua parlata e conosciuta, alcuni uomini dell'epoca utilizzarono il potere dei nomi di Dio per governare gli angeli che, ministri divini, dovevano unicamente sottostare alla Volontà divina: infatti normalmente alcuni uomini vengono considerati superiori a certi angeli proprio per l'entità e la natura della propria anima ma, per questo peccato, vi fu una discesa morale e spirituale dovuta ad un primo allontanamento da Dio; quegli uomini che commisero questa trasgressione vollero poi attaccarsi al potere delle stelle e delle costellazioni per dirigerlo verso il Mondo Inferiore ed utilizzarlo a proprio piacimento senza alcuna adesione all'Onnipotenza divina.

Un Midrash, nel testo di Bereshit Rabba, racconta come gli uomini che commisero il peccato di sfida nei confronti di Dio con la Torre di Babele vennero trasformati in scimmie.

Il Paradosso dell' Avvocato (o di Protagora)

Il paradosso dell'avvocato (detto anche  paradosso di Protagora)


Protagora avrebbe formato agli studi di legge, come istitutore, un giovane promettente, Evatlo, dal quale ebbe solo la metà di quanto richiesto per le lezioni e col quale stabilì che il resto sarebbe stato saldato dopo che questi avesse vinto la sua prima causa.

Ma Evatlo non cominciò la professione di avvocato, anzi si diede alla politica, e non avendo vinto la sua prima causa poiché non ne aveva mai fatte, Protagora non veniva pagato; quest'ultimo lo convenne dunque in giudizio per essere saldato del prezzo delle sue lezioni.

Il giovane decise di difendersi da solo, divenendo perciò avvocato di sé stesso, e creando questa situazione di indeterminatezza:

secondo Protagora:

se Evatlo avesse vinto, avrebbe dovuto pagarlo in base all'accordo, perché avrebbe vinto la sua prima causa;

se Evatlo avesse perso, avrebbe dovuto pagarlo comunque per effetto della sentenza.

secondo Evatlo:

se Evatlo avesse vinto, non avrebbe dovuto pagare Protagora per effetto della sentenza;

se Evatlo avesse perso, non avrebbe dovuto pagare Protagora perché in base all'accordo non aveva vinto la sua prima causa.

venerdì 10 settembre 2010

Depressione: un aiuto dalla Genetica

Allo Human Genome Meeting, tenutosi a Berlino è stato presentato “Newmood” (in inglese: “umore nuovo”), un ambizioso progetto finanziato dall’Unione Europea che coinvolgerà tredici laboratori il cui obiettivo consiste nell’individuare le basi genetiche della Depressione. La buona notizia, in questo caso, non è una sensazionale scoperta che rivoluzionerà la malattia, ma il fatto che questi nuovi studi sul genoma potrebbero stimolare un settore della ricerca farmacologica da tempo in attesa di nuovi input.


Dal Rotman Research Institute di Toronto arrivano immagini del cervello, ottenute tramite Pet (tomografia a emissione di positroni), che indicano come la psicoterapia e i farmaci antidepressivi abbiano azioni diverse. Entrambe le terapie mostrano effetti sulle strutture cerebrali che modulano il funzionamento di alcune regioni del cervello, ma seguono due strade opposte. I farmaci modificano l’equilibrio biochimico dei neurotrasmettitori all’interno dei centri che regolano l’emotività,
la psicoterapia, invece, cambia il modo in cui il soggetto interpreta gli stimoli provenienti dal mondo esterno.

Dall’Università di Pittsburgh arriva invece una nuova chiave di lettura delle ragioni biochimiche della malattia: tutti i farmaci oggi in uso mirano ad aumentare la concentrazione di serotonina, dopamina e noradrenalina ma sembra che il neurotrasmettitore su cui lavorare sia il glutammato, che interviene su tutti gli altri dando il segnale di “via”. I recettori per il glutammato sono ubiquitari nel cervello e i farmaci che agiscono sui livelli di questa molecola hanno ancora pesanti effetti collaterali (convulsioni), ma le ricerche continuano. Uno studio avanzato in questa direzione riguarda la lamotrigina, che si sta rivelando più efficace del litio nella cura delle sindromi bipolari.

Sempre da Pittsburgh arriva la notizia dell’individuazione di 19 regioni cromosomiche che sarebbero implicate nella manifestazione della malattia. La comprensione delle basi genetiche della depressione potrà aprire la strada, in futuro, a vere e proprie terapie personalizzate.

I Giganti


“I Sao erano talmente alti di statura che i loro archi erano costruiti con interi tronchi di palma e le loro ciotole, grandi come giare funerarie, potevano contenere due uomini seduti. Pescavano senza reti, sbarrando il corso dei fiumi con le mani; prendevano gli ippopotami a mani nude e quando parlavano la loro voce rintronava come il brontolio del tuono…e avevano la pelle bianca…..”


Questo potrebbe essere il testo di una fiaba da raccontare ai bambini, invece dalle parti del Ciad (Africa) queste sono tutt’altro che leggende, anzi affondano le loro origini nella lontana rimembranza di un antico popolo di giganti, che abitava in epoca remota in quei luoghi e la cui esistenza fu riportata, tra il 1936 e il 1939, alla luce dalle spedizioni Lebeuf e Graule.

Ma non sono solo gli abitanti del Ciad a ricordare l'esistenza di esseri dalle proporzioni fisiche gigantesche; riferimenti a simili creature si trovano sia nel libro indù del Mahabharatha, sia in testi religiosi dello Sri Lanka e della Thainlandia, sia antiche storie egizie, irlandesi e basche.

Il “manoscritto messicano di Pedro de los Rios” narra che: ”…..prima del diluvio, che si verificò 4008 anni dopo la creazione del mondo, la Terra di Anahuac era abitata dai giganti Tzocuillexo…”, mentre nella tradizione Maya si parla dei Quinatezmin.

Molti altri esempi di resoconti, scritti e orali, su esseri giganteschi sono presenti nelle varie tradizioni popolari, in tutto il mondo. La tradizione biblica narra di una stirpe di giganti, i Nefilim, discesa dal cielo e accoppiatisi con le femmine della razza umana (Genesi 6,1-4; libro dei Numeri 13, 21-29,32-33; libro dei Re 17, 4-51; Deuteronomio 3 e 2, 20-21; Cronache 20,6-8).

Il ricordo di un’antica progenie dell’uomo dall’aspetto e dalle dimensioni superiori alla media non è relativo solo ad antiche tradizioni popolari ma pare impermeato oltre che negli strati leggendari dei cosiddetti miti (spesso superficialmente relegati in un ruolo di secondo piano), anche negli strati meno leggendari e fantasiosi, ma più “corposi” delle scoperte archeologiche. Reperti che, strappati dalla terra che li ha nascosti e protetti per secoli, spesso subiscono un nuovo insabbiamento, in vecchi e polverosi magazzini, lontano da sguardi e organi d'informazione, da parte di quella scienza “dogmatica” che spesso cade in grande imbarazzo di fronte a scoperte che inficiano e distruggono le loro basi dottrinali.

Hernan Cortes, durante la sua conquista del Messico, entrò in possesso di ossa gigantesche, che secondo gli indigeni appartenevano ad una oramai estinta razza di giganti. Il prode Cortes stesso si incaricò di spedire al Re di Spagna un “femore alto quanto un essere umano”. Una copia di un femore di tale dimensione, trovato nella regione mesopotamica, è conservata nel Mt. Blanco Fossil Museum (USA).

Molte leggende su antichi giganti abitanti le sponde del lago Titicaca e poi trasferitisi a sud, in Patagonia, potrebbero essere confermate dagli avvistamenti di esploratori come Magellano, Drake, Hernandez ed altri.

Un altro storico del periodo della Conquista spagnola del Nuovo Mondo, tale Fernando de Alba Ixtilxochitl narrava che “...i resti dei giganti abitanti nella Nuova Spagna (Messico) si potevano trovare ovunque."

Giovan Battista Modena fu un canonico ed uno studioso vercellese vissuto fra il XVI ed il XVII secolo.

A lui si devono gli studi sui presunti giganti di Saletta.

Egli, infatti, trovò nella Chiesa di S. Cristoforo, in Vercelli, un dente gigantesco conosciuto, per l’appunto come “dente di San Cristoforo”. La leggenda vuole che, nel 1622, trovi a Saletta i resti di un gigante, di cui egli narra: “ ho ritrovato un corpo gigantesco di altezza e grandezza indicibile, che io stesso ho veduto e misurato……”.

Nel 1577 a Weiillisau, in Svizzera, vennero alla luce i resti di uno scheletro umano che, benché mancante di alcune parti, venne ricostruito dall’anatomista Plater nella creta e risultò appartenere ad un essere alto 5,80 metri. Tale ricostruzione venne esposta nel museo locale e ancora oggi si può ammirare nel paese una statua di un gigante atta a commemorare tale ritrovamento.

A Glozel, vicino Vichy, in Francia, furono rinvenute, nel 1925, ossa umane giganti, crani grandi il doppio, impronte di mani giganti, oltre a monili fatti a misura per arti giganteschi, il tutto risalente fra tra i 17-15000 anni fa. Il ritrovamento, sempre a Glozel, di manufatti squisiti in ceramica ed esempi di scrittura (il primo modello di scrittura documentato si faceva risalire al IV millennio a.C.) conferisce a questo luogo (che è sopravvissuto a tutti i tentativi di screditamento) un‘aurea ancora più misteriosa.

Il continente americano pare quello più “segnato” da queste tracce di giganti:

Intorno al 1810, a Braystown, Tennesse, vennero rinvenute orme di piedi umani, muniti da sei dita, di circa 32 cm di larghezza, oltre ad impronte di zoccoli di cavallo (e si è sempre pensato che i cavalli fossero stati introdotti nel Nuovo mondo dai Conquistadores) misuranti dai 20 ai 25 cm!

Nel 1870, un agente indiano, Frank La Fleche, annunciò che gli indiani Omaha avevano dissotterrato otto giganti con i teschi misuranti 60 cm; le stesse tribù indiane chiamavano questi giganti Mu-A-Luskha, e narravano che erano arrivati millenni primi dall’Oceano Pacifico sulle coste americane, avevano combattuto e distrutto le tribù amerinde esistenti, stuprato le donne di questi, e fondate città e scavati pozzi.

Nel 1924, la spedizione scientifica Donnehey ritrovò, nell'Havai Supai Canyon, un'incisione rupestre di un tirannosauro in posizione di combattimento e le guide indiane affermarono che questa strabiliante incisione era stata opera di un “essere gigantesco”che abitava, nei tempi remoti nella regione. Il sito di Glen Rose (Texas), dove sono state rinvenute orme di esseri umani e dinosauri coesistenti, risultato del tutto attendibile contro ogni aspettativa e prova da parte degli studiosi ortodossi, pare essere avvalorato, e, di ricambio, avvalorare, da queste eccezionali scoperte.

Nel 1943, alcuni ingegneri militari di stanza a Shemya, un’isola del gruppo delle Aleutine, ritrovarono delle ossa di proporzioni notevoli e crani enormi (le dimensioni di questi oscillavano fra i 50 e i 60 cm!). Questi giganti misuravano circa 7 metri! Le autorità militari subito giunte sul posto provvidero subito ad intimare il silenzio su questa faccenda.

In California, nel 1810, venne rinvenuto lo scheletro di un gigante con sei dita.

Un teschio, con una doppia fila di denti saldati alla poderosa mascella, appartenete ad un gigante fu rinvenuto sull’Isola di Santa Rosa, nel canale di Santa Barbara, California.

Alcuni soldati di stanza a Lampock Ranch, in California, rinvennero lo scheletro di un gigante, e un frate cattolico ordinò loro di sotterrarlo nuovamente poiché i nativi locali erano adirati da tale profanazione, credendo tali resti quello che rimaneva di un antico dio.

Queste sembrano tutte prove che il continente americano fosse abitato, in epoche remotissime, da esseri dalla statura colossale, e che, in alcuni casi, questi individui siano persino coesistiti con dinosauri.

Tornando più vicino a casa nostra, nel bresciano, nella Chiesetta di San Salvatore, sono conservate delle gigantesche ossa umane che si possono osservare spiando attraverso una grata.

In Marocco, presso Agadir, vennero ritrovati un set di utensili, risalenti a 300000 anni fa, concepito per essere usato dalle mani di un uomo alto minimo 4,50 metri!

A Gargayan, nelle Filippine, è stato scoperto uno scheletro di 5,18 metri.

A Ceylon i resti misurano 4 metri, mentre a Tura, in Pakistan è venuto alla luce uno scheletro di 3,35 metri. Scoperte simili sono state compiute in Marocco, in Moravia e Siria.

Singolare quanto accadde al grande paleontologo Ralph Von Koenigswald: un giorno egli entrò in una farmacia di Honk Kong, e osservò sul banco un gran vaso di terracotta contenente una collezione di grossi denti. Incuriosito vi affondò le mani e con sua gran sorpresa ne estrasse un grosso molare che subito identificò, grazie alla sua esperienza, come appartenere ad un essere umano: unica contraddizione era che tale dente posteriore era di dimensioni gigantesche, appartenente ad un uomo che doveva essere alto almeno 4 metri.

Domandando al farmacista dove l’avesse trovato gli fu risposto che il dente veniva da una collezione paterna di denti di “drago”, strani resti che venivano scoperti un po’ in tutta la Cina. Dopo altre ricerche il paleontologo scoprì altre farmacie che possedevano denti simili. Spinto dalla curiosità e ottenute notizie anche dai contadini, Von Koenigswald ipotizzò che tale essere umano, battezzato Gigantopiteco, abitava nelle grotte della regione del Kiang-Hsi circa 550000 anni fa.

Convinto sempre più della sua idea, il paleontologo si imbarcò per Giava, ove furono ritrovati i primi resti di uomo scimmia, ed, a totale supporto della sua idea, rinvenne un frammento di mascella smisurata, i cui denti erano però di dimensione minore rispetto a quelli trovati per caso nelle varie farmacie cinesi. Dai calcoli ricavò che l’essere cui apparteneva la mascella e i tre denti che vi erano ancora posti in essa, doveva essere alto fra i 3 e i 3,50 metri, e gli attribuì il nome di Megantropo (Uomo Alto).

Uno scienziato, Horbiger, ha da tempo ipotizzato l’esistenza, in passato, di più lune intorno al nostro pianeta, che avrebbero influito sul campo gravitazionale e quindi favorito la megafauna gigantesca e la presenza di gigantismo negli esseri umani. La frantumazione di una o più lune, in rotta di collisione con il nostro pianeta, avrebbe, di fatto, provocato la scomparsa del gigantismo animale, umano e della fauna, sconquassando il nostro globo fino a stravolgerlo geologicamente, quindi resti di tale gigantismo sono seppelliti sotto metri e metri di terra o negli abissi marini.

Un altro ingegnere di fama mondiale, Zillmer, parla di un’atmosfera prediluviana essenzialmente diversa da quell'attuale, dove i raggi del sole erano filtrati da uno strato di vapore acqueo. Tali raggi non avrebbero più intaccato negativamente organi vitali preposti al mantenimento della vita, e proprio in base a quest'affermazione lo stesso Zillmer arriva alla conclusione che l’esagerata longevità data ai primi abitanti della Terra, narrata dalla Bibbia, non sia frutto d'immaginazione o di errore di traduzione, ma pura realtà scientifica.

Forse ancora una volta i miti e le leggende hanno un valore più importante e storico di quanto ufficialmente se ne dia loro.

Sono stati forse questi mitici “giganti”, le cui tradizioni, e i resti fossili, sembrano essere presenti da un capo all’altro del mondo, a costruire i siti megalitici come Sacsahuaman, Giza e tanti altri che sembrano sfuggire ad ogni logica costruttiva riferita a quei tempi?