In Inghilterra uno studio promette di dare entro cinque anni speranza a chi non ha più la possibilità di muoversi a causa di danni al midollo spinale
Un team di ingegneri e scienziati dell’università di Leicester, in Gran Bretagna, sta sviluppando una tecnologia che grazie a minuscoli microchip riesce a captare i messaggi nervosi, decodificare i loro segnali, e tradurre il pensiero in movimento. Il progetto mira ad aiutare i pazienti che hanno subito danni al midollo spinale, consentendo loro di muovere gli arti, braccia e gambe, in maniera normale. Secondo il prof. Rodrigo Quian Quiroga, a capo del gruppo che lavora al progetto, bisogna considerare che tali pazienti hanno perso solo la possibilità di poter utilizzare il loro corpo, ma non la capacità di pensare i comandi necessari per muoversi dal cervello.
Come Quiroga spiega ad Engineer questo è quello che accade a chi ha un danno al midollo spinale:”Il paziente vede l’oggetto che vuole raggiungere, vuole raggiungere l’oggetto, il cervello invia un comando al braccio per raggiungerlo ma a quel punto il segnale si interrompe a livello del midollo spinale“. Il professore continua: ”se riusciamo a captare i segnali di questi neuroni e interpretarli con un algoritmo di decodifica, saremo in grado di far muovere un dispositivo robot collocato sul braccio paralizzato” e sottolinea che gran parte della tecnologia necessaria per realizzare il progetto è già disponibile. Gli scienziati hanno impiantato come esperimento un chip nel cervello di alcune scimmie dimostrando che il “pensiero” viene letto e decodificato facendo funzionare le braccia del robot o spostando un cursore sullo schermo di un computer.NIENTE WIRELESS PER ORA – Purtroppo finora nessuno di questi sistemi ha utilizzato la tecnologia wireless: è stato necessario che un filo inserito attraverso un foro praticato nel cranio dell’animale fosse collegato al dispositivo. Infatti trasmettere informazioni in modalità wifi da un chip nel cervello è troppo complicato: un singolo elettrodo può produrre 30.000 data points al secondo, e il chip potrebbe contenere centinaia di elettrodi. ’‘E una quantità enorme di dati, per cui la banda non sarebbe sufficiente”, ha dichiarato il prof Quian Quiroga. ”Stiamo cercando di fare in modo di elaborare i dati del chip in modo da rendere più agevole la trasmissione così, invece che 30.000 data point al secondo, forse potremmo ridurre l’entità di informazioni trasmesse a 100 o 1000 data points al secondo”.
IL FUTURO E’ SENZA ROBOT - Lo step successivo, molto più ambizioso, è quello di non usare dispositivi robotici, ma di sostituire la connessione interrotta con l’arto con un collegamento artificiale. Il chip nel cervello invierebbe segnali all’impianto stimolatore del midollo spinale che genererebbe impulsi elettrici per far contrarre i muscoli e muovere gli arti paralizzati. Per gli scienziati tuttavia il sistema robotico è l’unico in grado di dare risultati concreti in un tempo ragionevole.
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